Difese immunitarie
In questo periodo, è estremamente importante mantenere alta la naturale barriera difensiva del nostro corpo.
Ci sono due tipi di difesa:
- primo impatto, costituita da barriere aspecifiche: costituita dalla pelle e dalle mucose, della bocca, dello stomaco e dell’intestino e da macrofagi che funzionano come ‘spazzini’, inglobando e distruggendo cellule e particelle estranee senza distinzioni;
- del sistema immunitario che si attivano solo quando il patogeno (virus, batteri, funghi, parassiti), riesce a superare le nostre barriere e penetra nelle cellule.
Il sistema immunitario si è dotato di due strategie anticorpali, rappresentate rispettivamente dai linfociti B e dai linfociti T, detti killer (Figura 1).

Entrambi questi linfociti (anticorpi) producono un recettore specifico “una sorta di gancio biologico” per riconoscere e catturare i patogeni “agganciando” alcune parti proteiche (gli antigeni). (Figura 2)

Nel caso dei linfociti B il legame specifico anticorpo/antigene induce queste cellule a moltiplicarsi, a formare un clone di molte migliaia di cellule identiche in modo che vengano prodotti milioni di anticorpi, tutti con la stessa specificità.
Formato il legame anticorpo/antigene questo attira macrofagi e sistemi di enzimi. Sono questi che uccidono il patogeno, perforando la sua membrana (Figura 3).

Nel caso dei linfociti T killer vengono ‘educati’ ad individuare uno specifico patogeno nel Timo. Successivamente vengono rilasciati nel ciclo sanguigno (Figura 4-5). Quando però viene riconosciuta una delle parti proteiche (gli antigeni) di un patogeno per cui sono specializzati, si formaanche in questo caso il legame anticorpo/antigene, che induce queste cellule a moltiplicarsi e a formare un clone di molte migliaia di cellule identiche proprio come avviene per i linfociti B. In questo caso però. Il loro recettore non si lega al patogeno me a una cellula infettata da virus, uccidendola eliminando così la proliferazione del virus stesso.


Per giusta informazione, il Timo è un organo primario del sistema linfatico, con funzione di ghiandola endocrina e con un ruolo fondamentale all’interno del sistema immunitario. Tale organo con il passare degli anni va incontro ad una progressiva riduzione della sua massa strutturale, ad un tasso di circa il 3% all’anno fino alla mezza età e successivamente ad un tasso dell’1% all’anno fino ad arrivare all’età di 70 anni con una riduzione media del 10% rispetto alla massa presente a 30-40 anni (quando l’organo è alla massima efficenza).(Figura 6)

Ci sono però dei fattori che possono accelerare la perdita di efficenza di tale organo determinando quindi il calo di efficenza del sistema immunitario, tali fattori sono: gli androgeni e l’infiammazione cronica sistemica associata alle proteine infiammatorie (citochine- IL-4, IFN)-γ). Tali proteine sono prodotte dagli adipociti ipertrofici, ipossici presenti nel grasso addominale viscerale, pertanto il connubio tra l’avanzamento dell’età e l’obesità è estremamente deleterio per le difese naturali del nostro organismo. (Figura 7-8)


Quali strategie per aiutare il sistema immunitario?
Il sistema immunitario è come una bilancia e per essere alla massima efficienza deve sempre restare in equilibrio, perché questo avvenga, occorre considerare almeno questi punti fondamentali:
- l’alimentazione
- la flora batterica intestinale
- la vitamina D
Alimentazione
Per le nostre difese è consigliabile introdurre:
Frutta e verdura di stagione in abbondanza, ottime fonti di sali minerali e vitamine. In particolare viene consigliato di consumare frutta e verdura di colore viola-arancio-giallo-rosso che apportano polifenoli e vitamina C.(Figura 9)
- I polifenoli: sono molecole di origine vegetale composte da più anelli di atomi di carbonio e sono pigmenti (coloranti naturali) presenti in natura. Tra questi ricordiamo la quercetina, l’epicatechina, i flavonoidi (colore chiaro dall’avorio al giallo), le anticianidine, le antocianine (colore viola o rosso), ecc. Queste molecole, esercitano una particolare azione protettiva a livello cellulare, inoltre hanno proprietà antinfiammatorie, antiallergiche e antivirali. Proteggono particolarmente dalla cardiopatia ischemica (malattie delle coronarie, infarto) e dai tumori in genere.
- La vitamina C: funge sia da “spazzino” di specie reattive, sia da rigenerante di altri antiossidanti come i tocoferoli, inoltre permette di veicolare l’assorbimento del ferro.

Frutta secca (mandorle e noci): sono alimenti molto energetici pertanto pur facendo molto bene si sconsiglia di eccedere, una ricerca pubblicata nel 2017 su Journal of Nutrition e condotta dall’Università della Pennsylvania, che rivela come l’apporto giornaliero di circa 43 grammi di mandorle (una ventina di mandorle sbucciate) potrebbero aiutare a favorire la produzione di colesterolo “buono”, o HDL. Come rileva uno studio durato 20 anni pubblicato sul prestigioso New England Journal of Medicine si è oramai dimostrato come il consumo di frutta secca a guscio (come pistacchi, mandorle, noci del Brasile, anacardi, nocciole, pinoli e noci), risulta inversamente associata alla mortalità totale di uomini e donne, indipendentemente da altri fattori che potessero incidere sull’aspettativa di vita. Probabilmente perché la frutta secca a guscio contiene importanti nutrienti ad azione cardioprotettiva, come grassi insaturi, proteine di alta qualità, e vitamine. In particolare, le mandorle sono ricche di vitamina E, acido folico e niacina), sali minerali (ovvero magnesio, calcio e potassio). (Figura 10-11)
- La vitamina E (tocoferolo): esercita un’azione antiossidante a livello cellulare in grado di ridurre la sensibilità ai malesseri stagionali e alle infezioni alle vie respiratorie. In particolare la vitamina E possiede una coda idrofobica che gli permette di integrarsi nella struttura di membrana, mente un’altra porzione della molecola gli permette di reagire con i radicali liberi, interrompendo la cascata ciclica di reazioni radicaliche. La frutta secca (in particolare le mandorle) è particolarmente ricca di vitamina E, come pure l’olio extra vergine di oliva, l’olio di germe di grano.


Funghi, cereali: E’ bene se possibile inserire i funghi nella dieta, perché
ricchi di selenio e betaglucano, indispensabili per attivare i globuli bianchi e quindi per difenderci dalle infezioni e riparare i tessuti danneggiati. I betaglucani sono inoltre contenuti nella crusca di avena e nell’avena integrale e nei cereali. (Figura 12-13)
- Il Selenio (Se): è un oligoelemento essenziale con diverse azioni fisiologiche che includono: il funzionamento del centro catalitico delle selenio-proteine, un aumento della funzione immunitaria e la riduzione di rischio di insorgenza del cancro. Interviene anche nel passaggio degli ormoni tiroidei da T4 a T3 (forma attiva dell’ormone). La maggior parte del Se assunto con la dieta è contenuta nei cereali, nella carne e nel pesce, sotto forma di complessi con aminoacidi selenio-metionina (di derivazione vegetale) e selenio-cisteina (di derivazione animale). Della quota assunta con la dieta il 50% viene assorbita a livello intestinale; mentre la via principale di eliminazione è urinaria ed in parte respiratoria. L’enzima glutatione perossidasi (GPx), è selenio dipendente, svolge un ruolo determinante nella protezione dalle malattie cardiovascolari, interviene nella produzione degli ormoni tiroidei, favorisce la fertilità maschile, previene il cancro al colon, polmoni e prostata, protegge da infezioni virali, regola la risposta infiammatoria nelle allergie. Una sua carenza può quindi alterare la risposta immunitaria.


Uova, verdure a foglia verde, cereali, legumi:
le uova, gli spinaci e i fagioli, i piselli, cereali sono particolarmente ricchi di zinco. Ma attenzione però a come si preparano gli alimenti, l’acido fitico (acido inositol-esafosforico) è presente in elevate quantità nei cereali integrali, nei prodotti a base di crusca e nei legumi ed è in grado di limitare l’assorbimento dello zinco, legandosi ad esso, formando sali insolubili (fitati e fitina). Per ovviare a questo problema, nel legumi basta attuare un ammollo prolungato, mentre per quanto riguarda il pane, la lievitazione lenta a pasta acida è in grado di abbattere il contenuto di questi fattori antinutrizionali. (Figura 14-15)
- Lo zinco (Zn): è contenuto in piccola quantità (circa 2 grammi) nell’organismo umano. Localizzato soprattutto nel tessuto muscolare e nelle ossa, svolge un numero straordinariamente elevato di importanti funzioni. è importante per il funzionamento di alcuni enzimi. Interviene nella lattico deidrogenasi (che regola l’eliminazione dell’anidride carbonica), favorisce il metabolismo aerobico e stimola la secrezione dell’ormone della crescita.
Partecipa inoltre nella regolazione dei processi immunitari anche influenzando la produzione linfociti T, le cellule CD4, le cellule natural killer e l’interleuchina-2. Inoltre, è stato dimostrato che lo zinco possiede una attività antivirale. Il fabbisogno quotidiano di zinco è pari a circa 15-20 mg e il suo assorbimento nell’intestino è parziale ma è favorito dalla vitamina A, mentre l’assunzione di alcol, caffè, alimenti vegetali integrali, ne ostacola l’assorbimento. Nelle donne, l’assimilazione dal cibo è anche ostacolata dall’assunzione di contraccettivi. Anche gli antibiotici riducono l’assorbimento intestinale dello zinco.


Pesce, avocado, noci:
In particolare salmone, sgombro, merluzzo, alici sono alimenti molto importanti per le nostre difese immunitarie in quanto ricci di grassi polinsaturi (Omega 3) e vitamina D, molecole indispensabili per la nostra salute, combattere le infiammazioni e contrastare l’invecchiamento cellulare. Tali alimenti si possono alternare a avocado, noci, semi ricchi in acido alfa-linolenico (Omega 3 di origine vegetale)
Inoltre, per assicurare un effetto antiinfiammatorio, nella dieta si consiglia limitare fortemente il consumo di carne rossa, del sale, del vino e degli alcolici. (Figura 16-17)


Flora batterica
La flora batterica intestinale fisiologica è un complesso ecosistema costituito da miliardi di batteri, che popola l’intestino svolgendo una serie di funzioni essenziali per il benessere del nostro organismo. In particolare, i batteri rivestono, un ruolo indispensabile per un corretto sviluppo e un’adeguata funzionalità del sistema immunocompetente proprio a livello dell’intestino producendo anche batteriocine, che rendono difficile lo sviluppo dei microrganismi patogeni.
Un regime alimentare squilibrato ricco di grassi saturi, carboidrati e povera di fibre, può alterare la flora batterica spostandola in uno stato di disbiosi oltre che comportare anche un affaticamento del tratto gastrico. Anche se sono disponibili ancora pochi dati sull’effetto di COVID-19 sul microbiota intestinale, una piccola serie di casi provenienti dalla Cina ha rivelato che alcuni pazienti con COVID-19 hanno mostrato disbiosi microbica con diminuzione del Lactobacillus e del Bifidobacterium.
Inoltre, due meta-analisi hanno riportato una modesta efficacia dei probiotici nel ridurre l’incidenza e la durata delle infezioni del tratto respiratorio di origine virale durante la pandemia di COVID-19. I pazienti in condizioni critiche in ventilazione meccanica a cui erano stati somministrati probiotici (Lactobacillus ed Enterococcus) hanno sviluppato una polmonite di minore gravità rispetto al placebo.
Tuttavia, l’uso di probiotici per COVID-19 non è raccomandato fino a quando non avremo un’ulteriore comprensione della patogenesi della SARS-CoV-2 e del suo effetto sul microbiota intestinale. È probabile che sarà necessario un approccio nuovo e più mirato alla modulazione del microbiota intestinale come uno degli approcci terapeutici di COVID-19 e delle sue comorbilità.
E’ comunque consigliato, per migliorare il mostro sistema immunitario, mantenere l’intestino in buon equilibrio attraverso una dieta equilibrata, ricca di verdure, povera di grassi saturi e zuccheri semplici e molto ricca in cibi fermentati (yogurt, kefir, alimenti lattofermentati).
In questo modo, oltre ad introdurre in modo naturale batteri benefici, tra cui il Lactobacillus rhamnosus, si permette la colonizzazione in positivo del nostro intestino riportandolo ad uno stato di eubiosi.

Vitamina D
Tra le molteplici funzioni della vitamina D c’è anche quella di intervenire nel buon funzionamento del sistema immunitario, studi recenti hanno evidenziato come la forma attiva della vitamina D contribuisce ad incrementare le difese respiratorie attraverso l’aumento di produzione di peptidi antimicrobici, componenti fondamentali delle difese di prima linea nelle vie respiratorie.
In particolare l’attivazione della vitamina D (vitamina D3 ) determina la produzione di una proteina battericida, la catelicidina LL-35, e funzioni paracrine di modulazione dei linfociti T e B.(Figura 18)

Il sole che ci permette di formare il 90% della vitamina D attraverso la reazione biochimica che avviene nella nostra cute tra i raggi UV e il deidrocolesterolo (una molecola che si trova sulla pelle derivate dal colesterolo). La vitamina D non viene formata immediatamente, ma la prima molecola che si forma a partire dalla reazione tra deidrocolesterolo e raggi UV e’ un composto intermedio e instabile chiamato previtamina D3. Tale molecola intermedia, nell’arco di 48 ore si converte spontaneamente in un composto termodinamicamente più stabile chiamato Vitamina D3 o colecalciferolo.
La vitamina D3 sintetizzata a livello cutaneo, deve essere attivata, prima a livello epatico e poi a livello renale, in 1,25-(OH)2-colecalciferolo. Tale molecola, di fatto è un ormone biologicamente attivo.
Per attivare la produzione di vitamina D basta l’esposizione delle braccia e della gambe per 5-30 minuti (a seconda dell’ora della giornata, della stagione, della latitudine e della pigmentazione della cute) fra le 10 del mattino e le 3 del pomeriggio, due volte alla settimana.
La vitamina D è possibile assorbirla anche consumando alcuni alimenti di origine animale (pesce, crostacei e molluschi, uova, latte e derivati), dove è presente una buona dose di vitamina D3 o consumando alcuni alimenti di origine vegetale (es funghi) dove è presente sia come vitamina D2 o ergocalciferolo. In entrambi i casi l’assorbimento avviene prevalentemente nel piccolo intestino.
In particolare le linee guida sull’alimentazione indicano che il fabbisogno giornaliero di vitamina D (RDI) proveniente dagli alimenti, è pari a 400 IU, ma molte organizzazioni sanitarie raccomandano caldamente di assumere 600 IU di vitamina D al giorno.
- Il salmone: E’ una grande fonte di vitamina D. Secondo le banche dati sui nutrienti, 100 grammi di salmone apportano grandi quantitativi di vitamina D ma la concentrazione di questa vitamina-ormone può variare decisamente in virtù del confezionamento e della qualità del prodotto. I livelli più elevati si trovano nel salmone selvatico, che arrivano fino a 1.300 IU di vitamina D per porzione, mentre il salmone d’allevamento contiene, circa 250 IU di vitamina D, che è pari al 63% del fabbisogno giornaliero.
- Aringhe e sardine: E’ una delle migliori fonti di vitamina D dopo il salmone. Secondo le banche dati sui nutrienti, 100 grammi di aringa fresca fornisce 1.628 IU, quattro volte il fabbisogno giornaliero. Se il pesce fresco non fa per voi, anche le aringhe in salamoia sono una grande fonte di vitamina D, 100 g apportano 680 IU pari al 170% del fabbisogno giornaliero. Tuttavia, le aringhe in salamoia contengono anche una quantità elevata di sodio, che alcune persone consumano in quantità eccessiva. Le sardine rappresentano anche loro una buona fonte di vitamina D, 100 grammi apportano 272 IU, pari al 68% del fabbisogno giornaliero. Altri tipi di pesci grassi fonti di vitamina D sono lo sgombro fresco che contiene 360 IU per porzione e 250 IU per il prodotto confezionato in scatola, sempre riferiti a 100 g di prodotto.
Una volta assorbita, la vitamina D viene sequestrata e immagazzinata in diversi tessuti, principalmente nel tessuto adiposo, oltre che in quello muscolare. (Figura 19)

Le concentrazioni sieriche della 25(OH) vitamina D sono sufficienti quando i livelli di 25(OH) vitamina D sono > 30 ng/ml. In accordo con le linee guida dell’Endocrine Society, valori della 25(OH) vitamina D < 20 ng/ml sono indicativi di una condizione di deficit, livelli compresi tra 21 e 29 ng/ml esprimono una insufficienza relativa. Le linee guida italiane identificano il deficit grave per valori < 10 ng/ml e indicano come range ideale valori compresi tra 30 e 50 ng/ml.(Figura 19)

Il rischio di carenza di vitamina D è più elevato per gli obesi, questo perché tale vitamina, è fortemente liposolubile e viene rapidamente assorbita a livello duodenale e digiunale passando alla circolazione linfatica dove viene quasi totalmente sequestrata dal tessuto adiposo, da cui viene liberata in piccole quantità rispetto alla quota immagazzinata Maggiore quindi sarà la massa adiposa, maggiore sarà quindi il sequestro e/o diluizione volumetrica di vitamina D generando un rischio di carenza di vit D più elevato nei soggetti obesi.(Figura 21)

Inoltre questo può generare un circolo pericoloso in quanto la stessa ipovitaminosi D favorirebbe l’accumulo di massa adiposa. Questo è dovuto al fatto che bassi livelli di questa vitamina, generano un incremento dei livelli del PTH, questo favorisce l’afflusso di calcio all’interno delle cellule adipose promuovendo in tal modo:
- la lipogenesi (vale a dire la deposizione di nuovo grasso);
- favorendo la differenziazione dei pre-adipociti in adipociti (quindi un incremento della massa grassa);
- inibendo la lipolisi (ossia l’utilizzo del grasso di deposito a scopo energetico);
Sembra inoltre che l’ipovitaminosi D si associ a bassi livelli di leptina, l’ormone prodotto a livello delle cellule adipose quando queste sono sature di grassi. Se i livelli di leptina sono alti questo ci induce il senso di sazietà, pertanto il calo di leptina, associato a carenza di vitamina D, può contribuire ad indurre atteggiamenti iperfagici generati dall’aumento la fame. La conferma viene da diversi trial clinici nei quali è stato possibile verificare che con la supplementazione di vitamina D i livelli ematici di leptina si alzano. (Figura 22)

La vitamina D gioca un ruolo importante anche nei processi infiammatori correlati all’obesità. Infatti, da quanto osservato in una nuova ricerca dell’Università ‘La Sapienza’ di Roma, i cui risultati preliminari sono stati presentati a settembre 2019 al 55° Congresso annuale dell’EASD di Barcellona, l’espressione del recettore della vitamina D (VDR) a livello del tessuto adiposo fegato e del tessuto adiposo viscerale sembra possa avere un ruolo nella regolazione della risposta infiammatoria del tessuto adiposo e nell’eccessivo accumulo di grasso nel fegato. (Figura 23)


Pertanto per questo e per gli altri fattori sopra citati la vitamina D svolge un importante ruolo di prevenzione e difesa contro la patologia CONVID-19.
Dott. Emanuele Rondina – Biologo Nutrizionista
Dott. EMANUELE RONDINA – Biologo Nutrizionista – Via Dell’Orso N°5 / Via F. Argelati N°2 – BOLOGNA
Email dott.emanuelerondina@gmail.com – Sito http://informamangiando.com
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